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storia e origini

Il nome del caffè, che è simile in tutte le lingue (kaffee, café, coffee, ecc.), ha probabilmente una duplice derivazione: da Kaffa, regione originaria di diffusione, ma anche da kaweh che significa “eccitante”. O forse c’è anche una terza origine, dalla parola qahwa, che indica il vino.

Originario dell’Etiopia, dove ancor oggi cresce spontaneo, forse nelle isole del lago Tana, sicuramente fu portato dopo poco tempo nel vicino Yemen (la mitica Arabia Felix) e coltivato appunto nella zona di Kaffa, da dove iniziò la sua trionfale conquista del mondo. In seguito si scoprirà che il caffè era presente come pianta selvatica spontanea anche in altri Paesi. Nel 1843 in Liberia viene scoperta la qualità detta appunto Liberica, nel 1860 in Uganda la qualità Canephora (Robusta). Ma il nome del chicco del caffè è originariamente diverso: lo troviamo citato come buni, o ban, bunch, bun. In Etiopia questo è ancora il nome del caffè: bun o buna. E in Kenya è commercializzato un tipo di caffè Arabica, trattato per via secca, che appunto si chiama m’buni.

Mito e leggenda si mescolano alla storia del caffè e non è sempre facile fare chiarezza scindendo questa da quelli.

Si deve fare un doveroso accenno ai vaghi riferimenti di Omero nel canto quarto dell’Odissea al miracoloso Nepente che impedisce il pianto, in cui diversi autori hanno voluto riconoscere una descrizione del caffè e dei suoi effetti:

Ma nella mente
alla figlia di Giove, argiva Elena,
sorse un nuovo pensiero. Avverso al pianto,
avverso all’ira, apportator d’oblio
la bella donna nelle tazze infuse
un farmaco che detto era Nepente.

Chi misto al vin lo beve, il giorno intero
d’una sola di pianto amara stilla
la palpebra non bagna…

Questo la prole possedea di Giove
succo fatal, che in dono dalla sposa
di Tome, Polidamna, ebbe in Egitto,
dove possenti la feconda gleba
erbe produce, di salute alcune,
altre di morte arredatrici; e dove
più che ovunque al guarir dotta e maestra
la gente è tutta, da Peon discesa.

Poichè il farmaco infuse entro le tazze
l’inclita donna e di versarvi ingiunse
le dolci spume, a favellar riprese…

È poco probabile che Omero, 5-600 anni prima di Cristo, conoscesse il caffè, anche perché poi per 1500 anni nessuno ne parlerà più. Colpisce il riferimento all’Egitto, che anche in seguito verrà indicato come luogo di provenienza del caffè da tanti viaggiatori europei. Molto tempo dopo nascono le leggende sul caffè, ma già sicuramente in pieno Medioevo e forse anche più tardi.

La più diffusa è la leggenda di Kaldi, un pastore di capre abissino. “Un giorno, mentre sedeva su una roccia lungo il pendio di una montagna, Kaldi notò che le sue capre, normalmente docili, improvvisamente erano diventate estremamente vivaci, e senza ragione apparente. Esaminatele più accuratamente, Kaldi scoprì che avevano brucato le bacche rosso chiaro di un arbusto lì vicino. Coraggiosamente, provò anch’egli ad assaggiare le bacche e, dopo qualche momento, si rese conto con grande sorpresa di sentirsi straordinariamente sollevato e rinvigorito. Convinto che fosse un miracolo, si precipitò al monastero locale, ed eccitato, raccontò la sua storia all’Abate, mostrandogli le bacche di cui aveva riempito la bisaccia. L’Abate, temendo che si trattasse di un maleficio diabolico, lanciò le bacche nel fuoco, e in qualche istante un meraviglioso, esotico aroma riempì l’aria. A questo punto, convinto che si trattava in realtà di un’opera di Dio, l’Abate ordinò che le bacche fossero estratte immediatamente dal fuoco, cosa che i monaci si affrettarono a fare. Quindi i chicchi vennero mescolati con acqua, in modo che tutti i monaci del monastero potessero godere del miracolo”[1].

Gli abitanti dell’Abissinia prima del X secolo raccoglievano le bacche del caffè, che cresceva allo stato selvatico e, dopo averle fatte seccare intere, le abbrustolivano, quindi le polverizzavano e le univano a grassi animali e sale. Ottenevano così dei pani aromatici che consumavano durante i loro viaggi, avendo tale cibo il pregio di nutrire e dissetare i viandanti.

In seguito il caffè cominciò ad essere usato sotto forma di bevanda: le bacche venivano mescolate con acqua fredda e lasciate in infusione per qualche tempo prima di bere il liquido. La macinatura dei chicchi cominciò ad essere praticata molto tempo dopo, ed il caffè non divenne una bevanda calda prima del 1000 d.C., quando gli Arabi scoprirono come far bollire l’acqua.

La popolarità del caffè si diffuse rapidamente, in quanto gli Arabi usavano consumarla soprattutto per tenersi svegli durante le orazioni religiose[2]. Paradossalmente, però, l’affermazione della bevanda incontrava i più grossi ostacoli proprio presso la popolazione araba. Infatti, i suoi effetti stimolanti non collimavano con i rigidi imperativi della legge islamica, per cui venivano puntualmente operate restrizioni all’uso della bevanda che nuoceva a chi ne faceva abuso per la dissolutezza morale cui induceva. Le preoccupazioni delle Autorità non riuscirono comunque ad impedire che si continuasse a bere il caffè al punto che, divenuto bevanda ufficiale, si meritò il titolo di “vino dell’Islam”. Gli Arabi, in realtà, furono i pionieri e si mostrarono molto orgogliosi della loro scoperta, ma, nonostante conservassero con cura il loro segreto, era inevitabile, considerate le migliaia di pellegrini che visitavano il loro Paese[3], che il loro diritto esclusivo sulla nuova bevanda andasse un giorno perduto. Molti pellegrini, infatti, contrabbandarono semi ancora verdi e fertili nel loro Paese d’origine e, in brevissimo tempo, le piante di caffè crescevano rigogliose in molte altre aree circostanti. Il monopolio arabo era ormai finito.

Nel XIII secolo il caffè faceva già parte della vita quotidiana degli Arabi.

Nelle città e nei villaggi fecero la loro comparsa le qahveh khaneh (caffetterie)[4], che si moltiplicarono a ritmo vertiginoso man mano che il caffè diveniva più popolare. Nelle caffetterie arabe, filosofi, politici e commercianti si riunivano per discutere gli avvenimenti del giorno e scambiarsi opinioni. Questa popolarità, però, suscitò grande preoccupazione tra i governanti del tempo, che vi vedevano la possibilità di cospirazioni contro il loro potere; di conseguenza, per ben tre volte essi dichiararono le caffetterie fuori legge e ne decretarono la chiusura. Queste altre restrizioni, ancora una volta, non riuscirono a limitare il consumo di caffè e l’abitudine di riunirsi in questi ambienti diventati ormai troppo popolari. Il caffè fu successivamente accolto nelle case, dove la sua degustazione assunse con il tempo il carattere di un’elaborata cerimonia.

Anche l’Europa venne a conoscenza dell’esistenza della nuova bevanda e nel 1615 la prima fornitura di caffè giunse a Venezia dalla Turchia. Venezia fu definita “l’emporio d’Oriente”, poiché, nelle sue acque sostavano i vascelli europei di ritorno dai Paesi arabi. I Veneziani per primi impararono a gustare il caffè, anche se inizialmente il suo costo era molto alto ed era venduto in farmacia come bene di lusso[5]. Nel 1640 però, proprio a Venezia si aprì una prima bottega del caffè cui ne seguirono altre in città come Torino, Genova, Milano, Firenze, Roma e Napoli[6]. Analogamente agli ostacoli incontrati tra i religiosi musulmani, anche in Italia l’introduzione della bevanda dovette scontrarsi con gli intransigenti pareri di alcuni esponenti della Chiesa. Costoro incitarono Papa Clemente VIII ad interdire la “bevanda del diavolo”, ma il Pontefice, però, prima di esprimere il suo giudizio chiese che gli fosse portata una tazza dell’aromatica bevanda. Estasiato dal suo aroma, il Papa le impartì la sua benedizione, poiché ritenne che era un peccato lasciarla ai soli miscredenti.

Nella Francia del Re Sole, la bevanda fu introdotta nel 1644 da alcuni mercanti marsigliesi provenienti dall’Oriente. Intorno al 1660, alcuni cittadini inaugurarono la prima bottega pubblica del caffè, destinata a trasformarsi, come altre, da umili ritrovi a caffè elegantemente arredati. Non vi è dubbio, che alcune delle idee ispiratrici della Rivoluzione Francese abbiano preso forma proprio in questi locali, luogo di ritrovo dei protagonisti della cultura e della storia francese.

In Inghilterra, la fortuna del caffè è legata al fatto che la bevanda servì a combattere la piaga dell’alcolismo, molto diffusa nella società britannica intorno alla seconda metà del XVII secolo.

Il caffè arrivò anche nel Nord America, a New Amsterdam nel 1660 e, quattro anni dopo, quando gli Inglesi la conquistarono e la ribattezzarono New York, il consumo del caffè aveva già fatto saldamente presa sulla popolazione, rimpiazzando la birra a colazione, con notevole vantaggio per la salute collettiva. Le prime caffetterie di New York somigliavano più a delle taverne: davano camere in affitto, servivano pasti ed oltre al caffè vendevano birra, vino, cioccolata calda e tè. Le più prestigiose avevano sale riunioni dove venivano condotti tutti i tipi di trattative pubbliche o private, come le aste. Inizialmente, a New York, il caffè era alla portata esclusivamente dell’èlite della società, mentre il tè era molto più popolare. Dopo lo Stamp Act, tassa che Re Giorgio d’Inghilterra impose sul tè, i coloni americani entrarono in rivolta e, vestiti da indiani, andarono all’arrembaggio dei mercantili britannici nel porto, rovesciando in mare tutto il loro carico di tè. Questo famoso evento storico, noto come Boston Tea Party, stabilì un legame ancora più forte tra gli americani e il caffè, che in breve divenne la bevanda nazionale[7].

Fino alla fine del XVII secolo, quasi tutto il caffè proveniva dall’Arabia e gli Arabi, per mantenere il controllo delle forniture, vietarono persino l’esportazione dei semi, tranne di quelli già tostati e proibirono severamente agli stranieri di visitare le piantagioni. Nonostante le misure di sicurezza adottate, delle spie olandesi riuscirono a trafugare delle piante dall’Arabia e diedero avvio alla loro coltivazione a Giava. Da allora, la coltivazione del caffè si estese a tutte le colonie olandesi e fu liberamente commerciato in tutta Europa. Nel 1723, il giovane capitano de Clieu, della Marina francese, riuscì a portare di nascosto una piantina di caffè a bordo della sua nave diretta a Sud e, successivamente, ad interrarla nel fertile suolo della Martinica. In occasione di una disputa di confine tra due Paesi produttori rivali, Guiana Francese e Guiana Olandese, il Brasile, incaricato di dirimere la disputa, nominò responsabile della risoluzione della controversia il giovane ufficiale Palheta che, con astuzia, riuscì a procurarsi alcune piantine, conquistando i favori della moglie del Governatore. Fu questo l’inizio di uno dei più grandi imperi della produzione di caffè[8].